- Appello comune alla responsabilità individuale, morale: tensione verso la ricostruzione di questa dimensione di responsabilità.
- Ricominciare a mettere in discussione criticamente il sistema dell’arte; ritornare vedere fisicamentele opere e le mostre.
- Stare dentro l’opera, e da un punto di vista anti-tecnico vivere la crisi - e la crisi della democrazia - e saperne dare una narrazione, cercando la fuoriuscita da questa crisi attraverso questa narrazione.
- Orientarsi a ricostruire la dimensione di ecosistema dell’arte: l’arte è la nostra vita; costruire comunità temporanee, comunità di scopo (c. per fare qualcosa); elaborare così modalità creative, intelligenti e alternative di relazione e di confronto con la politica (in questo senso, il rancore, il risentimento, la recriminazione sono inutili).
- La marginalità è un terreno fertile (sia dal punto di vista fisico, dei territori, sia di elaborazione e progettazione culturale.
- Competizione collaborativa e impegno al rispetto reciproco della dignità.
- Sfruttare l’enorme opportunità che deriva dalle nostre enormi criticità.
Proposte di modello: applicare le buone pratiche internazionali, adattandole di volta in volta alle caratteristiche e alle vocazioni dell’Italia e dei suoi territori. Come hanno risolto all’estero i problemi che noi abbiamo di fronte? Sottoporre chi amministra la cosa pubblica alla griglia delle best practice, e sottolineare con forza ogni volta che ci si allontana da questa griglia, chiedendone puntualmente conto. Emergono così incapacità, corruzione, malafede, ecc.: gli impedimenti pratici e concreti.
Proposta concreta: l’arte nel 2009 aveva promesso di aiutare L’Aquila e la sua comunità; poi questa promessa è stata dimenticata, e nulla è stato fatto (così come, parallelamente, dalla politica); l’arte contemporanea deve impegnarsi a tornare a L’Aquila con progetti reali e concreti, aiutando e sostenendo quella città nella propria ricostruzione identitaria.
- Aprire conflitti rispetto ai metodi di misurazione dei processi culturali: capovolgere l’assioma della cultura come volano dell’economia e del turismo; inserire nuovi parametri relativi alla costruzione di comunità e ai processi culturali. Non chiedere più alla cultura spettacolarizzazione, performance, indotti (con stravolgimento reale dei territori, gentrificazione, perdita). Rivendicare, protestare contro ciò che non ci piace non solo della politica, ma anche del panorama artistico che asseconda questa visione.
-Dobbiamo pretendere (non chiedere, né elemosinare) che lo Stato torni a finanziare le attività culturali, rifiutando qualunque supposta giustificazione storica della dismissione e della deresponsabilizzazione rispetto al supporto pubblico della cultura.
-Istituire un momento ulteriore (ancora più aperto e allargato) di confronto su questo tema fondamentale della separazione tra cultura e politica.