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A4. Un nuovo ruolo sociale per l'arte

In che modo, nel contesto italiano, l’arte — intesa non in senso “esclusivo” come l’esercizio e l’apprendimento di pratiche intellettuali ma piuttosto come pratica ordinaria — può supportare trasformazioni sociali in atto e/o attivarle? O addirittura “farsi sociale”?


Il nostro tavolo ‘Un nuovo ruolo sociale per l’arte?’ propone i seguenti spunti in fieri, con l’idea che questi possano diventare oggetto di future riflessioni e dialoghi allargati: 

 − È l’arte un’esperienza sociale in sè al di là dei modi/mezzi con cui si costruisce e esperisce? 

 − Sfidare il concetto di ‘plastica sociale’ che di fatto è esercitato per il controllo delle masse attraverso apparati tecnologici e mediatici per creare stili di vita, opinioni, filosofie dell’esistenza e ideologie dominanti, attraverso l’idea di ‘scultura sociale’ di cui Beuys e’ stato ispiratore, che si costruisce dal basso, emerge dalla realtà esistente e dagli attori che la costituiscono, producendosi di vita propria, in maniera sia individuale che sociale, e politica   
− La pratica sociale intesa non come pratica esterna al sé, che ci posiziona come presunti osservatori estranei ed oggettivi di processi che inneschiamo, piuttosto considerando il nostro coinvolgimento all’interno di tale processo, riflettendo sul nostro ruolo, soggettivo, e sulla sua influenza nei fenomeni. 

 − Assenza in Italia di programmi che offrano un’adeguata formazione, intesa sia come perscorsi accademici (in Inghilterra per esempio esiste una scuola di ‘scultura sociale’) che come occasioni per fare esperienza e pratica 

 − Per ‘nuovo’ ruolo sociale dell’arte possiamo intendere una nuova dimensione estetica che esprima, interpreti e modelli il sociale come ‘dispositivo critico’. 

 − Nelle pratiche sociali non esiste una definizione univoca o un’unica modalita’ di intendere il lavoro nel sociale; si tratta di un ambito multidisciplinare che attiva ‘pluri-modalità’. Esistono tanti modi di fare arte ‘sociale’, ma si rileva l’importanza che il nostro agire o riflettere sia radicato nel territorio e risponda ad un bisogno / desiderio reale già in essere in quel territorio (“Una nuova socialità è locale”) 

 − Lavorare nel sociale significa lavorare in maniera processuale, con tempi lunghi e dilatati: “[…] non è un mordi e fuggi o un workshop di tre giorni!” “[…] di quanto tempo abbiamo bisogno per attivare reali processi di conoscenza e fiducia? 

 − La pratica sociale non è un tema di lavoro né un progetto da compiere, né un modo per salvare il sociale. − Operare nel sociale produce una nuova ‘figura ibrida’, in quanto si vive una doppia presenza talvolta probelmatica: essere artisti nel mondo dell'arte e delle sue regole e/o partecipare ad una socialità più diffusa, i cui i riconoscimenti sono diversi. 

 − arte sociale in risposta alla politica, non al fare politica ma alla gestione della politica amministrativa, sorda verso i bisogni reali. 

 − Il termine sociale crea imbarazzo, a volte assistiamo a vere e proprie strumentalizzazioni in cui i soggetti coinvolti svolgono un compito e non sono ‘parte attiva’ o rischiano di essere strumentalizzati o spettacolarizzati. Questo meccanismo crea una contraddizione che emerge anche dalla formulazione dei bandi, in cui il termine ‘partecipazione’ è dato come criterio o garanzia. Come insegna Lazzarato e altri, il termine “partecipazione” è problematico. 

 − Le pratiche sociali sono segnate a volte da esperienze fallimentari, il fallimento come criticità è una condizione generativa che pone le condizioni per una discussione e per il confronto. “Possiamo considerare il fallimento, il rifiuto, il fatto che talvolta le comunità ‘attivate’ non si identifichino nei progetti, come altrettanti strumenti di indagine speculativa, ‘auto-riflessiva’ o parte integrante e indissolubile di tali pratiche?” 

 − Le opere, le pratiche o gli ‘oggetti processuali’ differenziano le diverse pratiche sociali. C’è chi privilegia un oggetto che rimanga come testimonianza del percorso intrapreso e che in qualche modo diventa patrimonio di ‘altri’. Oppure chi non prefiggendosi nessuna forma estetica o risultato, privelegia il processo di ‘esperienza’. In questo senso la questione dell’autorialità dell’artista nei progetti partecipati (sia nel senso di un suo dissolversi, che nel suo mantenersi) è questione chiave; l’artista si mette in questione, senza annulare la propria soggettività, necessaria per interagire in modo ‘generativo’ e dialettico, in posizione dialogica con gli altri soggetti coinvolti. “Come porsi nei confronti di un qualsiasi contesto in cui operiamo, in maniera ‘situata’ (consapevole delle nostre appartenenze- di classe, genere, razza e prospettive, privilegi, storie, preferenze, ecc ...)?” “Può l'arte offrire uno spazio protetto dove i conflitti emergano, e rimangano irrisolti?” 

 − L’intervento nel sociale può essere ad esempio il lavoro con le scuole di ogni ordine e grado, o la capacità di entrare in organismi sociali e di rompere gli schemi abitudinari, l’omologazione, il pensiero egemonico e aprire un diverso ‘immaginario’. − La figura dell’artista, tradizionalmente intesa, diviene ‘altro’: facilitatore, connettore, catalizzatore, colui che raccoglie ed elabora i feedback? Una figura ibrida, non assimilabile ad un ruolo preciso, dai contorni definiti che assume nuove valenze.

 − Il ‘nuovo ruolo sociale dell’arte’ come resistenza: resistenza ad un sistema che vuole integrare queste pratiche nella cornice del ‘mondo dell'arte’? O come resistenza alla morte? Dovremmo forse intravedere in questo il vero atto politico? 

 − Politico e sociale sono inscindibili 

 − Il sociale può costruire sistemi di ‘autoproduzione’, anche economica, e fare pratica e/o immaginare scenari di liberazione dal lavoro, attivando la propria libertà creativa insita in ogni soggettività 

 − Le pratiche sociali devono essere collaborative non di singoli con l’obiettivo di favorire una ibridazione disciplinare che vada oltre la specificità delle discipline artistiche. 

 − Emerge un concetto o un invito : il ‘Disturbo artistico di massa’. E’ lecito pensare che fare arte in senso ‘sociale’, possa significare un accompagnamento senza delega attraverso l’autoproduzione all’interno del sistema capitalistico, così come lo abbiamo conosciuto fino ad ora (“violento” e “schizofrenico”)? “Forse un nuovo senso del sociale passa per l’abbattimento della ‘delega’, anche agli artisti, per una produzione propria, individuale e collettiva”? Può l'arte costruire altre temporalità, diverse e autonome da quelle di un sistema neoliberale che spinge in tutti i campi alla precarizzazinoe, iper-produzione, e monetarizzazione dei valori creati?” 

 − Le pratiche sociali portano con sè il rischio di favorire la gentrificazione di aree urbane e rurali, portando un valore aggiunto, che in alcuni casi può modificare le condizioni dei luoghi e conseguentemente della vita delle popolazione locali. Tenere sempre a mente quando si opera con tali strumenti del rischio di strumentalizzazioni, e delle conseguenze che il nostro operare comporta, soprattutto nel caso ci sia difficile operare in contesti locali con continuità.