Questo sito utilizza cookie per monitorare la tua esperienza di navigazione del sito. Per maggiori informazioni su come utilizzare e gestire i cookie, consulta la nostra Informativa sui cookie. Chiudendo questa notifica acconsenti al nostro utilizzo dei cookie.
OK, ho capito
+
[R] proposta di riforme politiche


R2. Il Padiglione Italia: come salvarlo dal ridicolo

È necessario rivedere i meccanismi di valutazione e incarico del curatore del Padiglione Italia in seno al Ministero e parificarli a ciò che accade in molti altri padiglioni nazionali nella Biennale di Venezia.

Padiglione Italia. Come uscire dall’impasse

È opinione condivisa che il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia sia attraversato da problemi di ordine sia politico-gestionale che qualitativo. Particolarmente nelle sue ultime edizioni, il padiglione che rappresenta l’Italia sulla scena internazionale dell’arte si è fatto specchio e luogo di visibilità di problemi di vario ordine a testimonianza, principalmente, della mancanza di meccanismi efficaci a garantire la nomina di un curatore che sia capace di restituire con originalità e dinamismo i discorsi e le pratiche artistiche che sono in atto nel mondo dell’arte contemporanea italiana. 

La Biennale di Venezia costituisce il momento espositivo in cui gli stati partecipanti scelgono cosa esporre di sé in termini di produzione artistica : in cui scelgono, letteralmente, quale immagine darsi. Ci chiediamo allora: va bene alla politica questa immagine che si produce dell’Italia che non corrisponde alla realtà del paese?
premesse
Quella del Padiglione Italia è una vicenda storicamente ondivaga: all’atto della fondazione della Biennale di Venezia, nel 1893, la mostra non prevedeva ancora padiglioni nazionali, ma un Palazzo delle Esposizioni in cui inizialmente l’Italia godeva di una rappresentanza pensata su base regionale. I padiglioni a partecipazione nazionale iniziano a essere costruiti nel 1907 con il primo padiglione del Belgio, ma non è che in epoca fascista che il padiglione Italia viene istituito per rimanere in utilizzo di biennale in biennale sino al 1999, quando Harald Szeemann decide di sopprimerlo (salvo poi attribuire il premio del miglior padiglione a un virtuale padiglione italiano costituito da cinque artiste donne rappresentate nella mostra principale). Dopo un’interruzione durata quattro edizioni della biennale, nel 2007 il padiglione Italia viene nuovamente istituito, con l’assegnazione di una nuova sede alle Tese delle Vergini. A partire dal 2009, con l’ampliamento ulteriore dello spazio dedicato al padiglione e una politica curatoriale apertamente caotica e avulsa dalle pratiche in atto nel mondo dell’arte contemporanea italiana, la situazione diventa critica. 

In termini di politica culturale, mentre negli anni è andata affermandosi la figura del curatore come autore della mostra principale a carattere internazionale, dall’altra parte, parallelamente, la Biennale di Venezia è andata definendosi sempre più come un arcipelago di mostre rappresentanti ciascuna una delle nazioni partecipanti. Se la tendenza all’autorializzazione curatoriale delle mostre rispecchia un cambiamento che si è prodotto su scala globale, l’articolazione per nazioni in ambito prettamente artistico è un fenomeno in larga misura endogeno alla Biennale di Venezia. Unica mostra periodica d’arte a dotarsi di una struttura basata sull’appartenenza nazionale, la Biennale di Venezia si è per questa ragione consolidata come laboratorio e luogo della visibilità da un lato di equilibri geopolitici (si pensi all’unico ingresso su base permanente negli ultimi anni, rappresentato dalla Cina, nonché alle numerose partecipazioni nazionali che si danno in maniera più o meno aleatoria nella forma dell’evento collaterale), dall’altro della diversità delle politiche culturali in atto nei singoli paesi. È questa struttura a fare della Biennale di Venezia il luogo in cui da una parte istanze culturali locali hanno la possibilità di rilocalizzarsi quando non delocalizzarsi nel dibattito internazionale, e dall’altra la complessa questione dell’identità nazionale viene sì ribadita ma anche problematizzata. Sono numerosi i padiglioni nazionali che hanno colto l’occasione della Biennale di Venezia per riflettere su questioni quali l’appartenenza comunitaria e il diritto di cittadinanza allargata, con soluzioni che hanno fatto la storia dell’arte. Non sarà superfluo ricordare che l'idea vetusta del diritto alla cittadinanza ristretta è una problematica legata a doppio filo con quella dell’inclusione/esclusione, e che non c'è innocenza alcuna nella proiezione ideologica dell’identità, oggi non meno che al finire delle grandi guerre del secolo scorso. Singolare e molteplice, locale e universale, l’immagine vive di una dinamica plurale, che essa si faccia portatrice di istanze dalla portata politica, storica, poetica. Ciò non fa che confermare come sia la tensione tra l’istanza nazionale e la natura internazionale quando non deterritorializzante dell’arte a contribuire alla vivacità della formula Biennale di Venezia. Una vivacità che rischia di perdersi quando i meccanismi di gestione e produzione sono alieni ai contenuti in gioco. 

A un’attenta analisi delle vicende del Padiglione Italia nel corso degli ultimi anni, appaiono come evidenti due ordini di problemi corrispondenti a due forme di scollamento: quello tra i rappresentanti della politica e gli attori del mondo dell’arte, e quello tra il curatore del padiglione e la scena artistica italiana. Nominato su base politica senza la garanzia di un meccanismo di selezione capace di rendere conto dell’effettiva competenza curatoriale in materia di arte contemporanea, con alterne vicende il curatore del padiglione ha fatto fatica, negli ultimi anni, a mettere in campo con una visione chiara le reali energie artistiche presenti in Italia, dando piuttosto adito a risultati sproporzionati sia in termini di rappresentanza numerica che di gestione delle risorse economiche e spaziali a disposizione. Per questa ragione è urgente ripensare i meccanismi di scelta e legittimazione che la struttura Padiglione Italia mette in gioco al fine di chiedere metodi diversi a chi decide per noi.
proposte
Il tavolo 

La nomina del curatore 

Problematicità: a oggi la nomina del curatore del Padiglione Italia è ministeriale. Il carattere politico della nomina si scontra con l’esigenza che vi sia competenza scientifica nelle scelte relative a un ambito della cultura che è portatore di pratiche proprie e dotato di linguaggi specializzati. 

Proposta: si avanza la proposta di una commissione a partecipazione internazionale, irripetibile nella sua composizione, costituita da esperti italiani e stranieri cui sia affidato il compito di individuare una rosa di candidati su base progettuale, possibilmente via open call secondo un processo improntato ai criteri della trasparenza. Si ritiene che il della visibilità nei mezzi di diffusione di massa non possa costituire il principale criterio di scelta. Questa proposta è mossa dall’esigenza di portare al processo e all’atto di nomina un carattere scientifico che renda conto delle effettive competenze curatoriali nonché dell’aggiornamento dei candidati. Si manifesta altresì, in quest'ottica, l'esigenza di individuare meccanismi capaci di garantire l’aggiornamento della commissione, possibilmente per mezzo di consultazioni e perlustrazioni sul territorio. 

Tempistiche

Problematicità: la nomina del curatore del padiglione Italia arriva generalmente troppo in ritardo. Ciò si ripercuote sia sulla scelta del tema e sulla sua rilevanza nonché capacità di incisione nel dibattito nazionale e internazionale, sia sulla produzione delle opere, in termini e di realizzazione materiale e di reperimento dei fondi attraverso meccanismi capaci di garantire una relativa indipendenza del curatore e degli artisti dai principali poteri economici.  
Proposta: si avanza la proposta di una scadenza per la nomina che sia il più possibile distante dalla data di inaugurazione della biennale, possibilmente a ridosso della chiusura dell’edizione precedente. 

Profilo curatoriale 

Problematicità: il principale problema riscontrato nell’approccio curatoriale nel corso delle recenti edizioni della biennale verte sul rapporto deficitario del curatore con la scena artistica in Italia, quindi sul suo mancato aggiornamento rispetto a un panorama le cui periferie vengono arbitrariamente definite. Al contempo, si lamenta uno scarso aggiornamento rispetto ai dibattiti e ai discorsi critici locali e internazionali e una scarsa conoscenza quando non l’ignoranza delle modalità allestitive dell’arte contemporanea che differiscono sia dalle pratiche storico-museali che da quelle fieristiche e della promozione turistica tout court.

Proposta: occorre che le competenze del curatore vengano valutate da una commissione competente quale la commissione a partecipazione internazionale proposta per la nomina. Si avanza altresì la proposta di elaborare dispositivi di relazione e meccanismi di scelta che garantiscano che il curatore possieda una conoscenza diffusa e profonda sia della scena artistica italiana contemporanea che dei principali dibattiti internazionali. Si è a tal fine, particolarmente rispetto al primo punto, avanzata la proposta di una piattaforma permanente di ricerca sul territorio a composizione variabile fondata sulla pratica dello studio visit e animata dal criterio dell’accessibilità della documentazione raccolta. 

Budget 

Problematicità: ridotta entità del budget a disposizione. 
 
Proposta: si ritiene che la tempestività della nomina del curatore del Padiglione Italia posa garantire a questi stessi il tempo necessario alla raccolta di fondi supplementari, quando necessari alla produzione delle opere. Ciò consentirebbe anche di meglio bilanciare la scelta degli artisti evitando che la preponderanza delle loro inclusioni sia delegata al potere economico di una sola galleria, e in ogni caso di pochi poteri forti. Si avanza altresì la proposta di valutare l’introduzione a livello normativo di sgravi fiscali per privati che decidano di sostenere economicamente il padiglione. 

Spazio 

Problematicità: nelle recenti edizioni il Padiglione Italia è risultato problematico nella gestione del vasto spazio a disposizione. Le critiche che sono state più spesso mosse riguardano l’eccessivo numero di opere e artisti inclusi la cui scelta è parsa dettata da ragioni di riempimento dello spazio anziché da motivi organici alla mostra e ai lavori. 
 
Proposta: anziché pensare a soluzioni in ultima istanza problematiche quali il ricollocamento del Padiglione Italia ai Giardini nella sede che è ora dedicata alla mostra principale o nell’edificio del Padiglione Venezia – ipotesi entrambe arrivate sul tavolo – si propone di fare del problema una risorsa e pensare i 1900 metri quadrati a disposizione del padiglione (che nel 2009 ha raddoppiato la propria estensione) nell’ottica, anche parziale, di una piattaforma. Senza voler sacrificare la dimensione espositiva delle opere si avanza la proposta di pensare lo spazio, anche parzialmente, nel senso processuale e partecipato dell’evento e del dibattito quando non dell’opera (posto che in arte le forme sono sempre ancora da inventare, numerosi ne sono state le forme, dall’arena centrale di Okwui Enwezor della Biennale di Venezia, 2015, a Oreste nel 1999, al Padiglione Spagna di Dora Garcia del 2013, alla Stazione Utopia della Biennale di Venezia, 2003, etc.). In alternativa, si ricorda che l’arte contemporanea, anche quando non si da in forma partecipativa o performativa, conosce una lunga pratica del vuoto e della sottrazione e che non ha alcuna esigenza fisiologica di saturare lo spazio.