La scuola civica di Iglesias individua come prima criticità una certa diffidenza del pubblico verso l’arte contemporanea, soprattutto in un sistema periferico come quello nel quale si trova ad operare. Il sistema dell’arte è un sistema con forti tratti di autoreferenzialità, spesso derivanti da una cattiva informazione che produce stereotipi e preconcetti. Come smuovere tutto questo? Come intervenire nei processi di costruzione della didattica?
Gail Cochrane sottolinea subito dopo quanto necessaria sia la possibilità di annullare la distanza tra artista e arte, arrivando così a una comunicazione diretta, senza mediazioni. L’impegno della fondazione in questa direzione è stato molto intenso e Gail sottolinea quanto il lavoro in generale fatto dai privati in Italia sia cruciale e tuttavia soggetto al cambiamento: come intervenire affinché si possa garantire la durata nel tempo dei progetti? Come rafforzare il rapporto pubblico/ privato? Si menziona per esempio lo scarso contatto con le Accademie e più in generale un rapporto nullo e o a singhiozzo con interlocutori pubblici; quando presenti, questi contatti avvengono sulla base di rapporti individuali che concentrano le energie ma non sono anche questi duraturi in termini di caduta operativa nella sfera pubblica.
Stefano Arienti interroga il tavolo su come si possa imparare a diventare docenti. In questa prospettiva mette in luce la necessaria disponibilità del “maestro” e l’impegno, l’ingaggio dell’ “allievo”. Arienti indica come criticità da superare una cerca chiusura dell’orizzonte culturale del sistema dell’arte contemporanea, un orizzonte che al contrario deve necessariamente allargarsi, recuperando il patrimonio di un’alta produzione, di mestieri. E’ auspicabile e importante costruire un’unità sociale e in questo superare i confini del sistema senza paure. Gli artisti in questo sono degli attori molto importanti perché attraverso il lavoro per committenze diverse possono contribuire a ampliare i riferimenti (caso Lucio Fontana e il Cinema Arlecchino). E così escono dalle corporazioni per un libero confronto tra le discipline. La domanda è dunque: chi ha formato il nostro sistema?
In modi diversi Cloe Piccoli e Dionigi collocano la principale criticità all’interno del contesto delle Accademie pubbliche. La riforma per Piccoli è da farsi nella scuola Statale, dove attivare un nuovo rapporto tra allievo e maestro, mentre per Dionigi è da risolvere il rapporto con la storia nel senso di una diversa relazione con i maestri non fondata su rapporti di esclusione o inclusione, censura e auto-censura. La criticità maggiore è in questo senso il rapporto con la storia verso la quale avere un atteggiamento più attivo. Accanto a questo Dionigi individua anche il tema della mancanza dell’interlocutore cui rivolgere domande e avere risposte.
Un maestro come Gianni Pettena racconta in primis della curiosità verso l’altro da sé come motore della conoscenza: è la sua esperienza personale che si accampa dentro la realtà delle gallerie d’arte che per lui sono state scuole di inquadramento emozionale. E’ il lavoro che insegna e la sua scuola per esempio con Sottsass è emblematica in questo. La criticità è nella scuola di architettura un assenza di emozione e la salvezza dalla criticità è andarsi a scegliere e cercarsi un docente nuovi, fuori dalla scuola.
Giorgio Zanchetti si unisce nell’evidenziare delle criticità strutturali forti e elenca due problemi-attori sui quali ragionare:
1) il silenzio dell’artista: dove e come prendere parola in questo discorso? Quali spazi?
2) il silenzio della critica, che non interviene se non nella forma del consenso o del silenzio: quali sono i suoi tempi e i suoi spazi?
Se queste voci non si alzano queste voci, l’educazione non può cambiare.