Sostituire alla parola pubblico quelle di pubblici, collettività, comunità, nella convinzione che il pubblico in astratto non esista, ma esistano delle persone, ognuna con i suoi desideri, i suoi bisogni e le sue aspettative specifiche.
- Ribadire la qualità intellettuale del lavoro di tutte le professionalità coinvolte nel museo, comprese le aree non prettamente curatoriali, in una logica di proficua coopetition. Il rapporto con gli sponsor, con i comitati scientifici e con i consigli di amministrazione dovrebbe essere di mutuo dialogo e collaborazione.
- Coniugare ricerca di alto livello e divulgazione di alto livello, nel nome della qualità progettuale e del display e degli strumenti informativi senza cedere da una parte alla tentazione del mainstream e del blockbuster ad ogni costo, dall’altra a quella della nicchia e dell’autoreferenzialità, per creare quella “fiducia” del pubblico che consenta di portarlo in territori nuovi e non ovvii senza però disorientarlo con proposte troppo respingenti e poco leggibili. Senza rinunciare, quindi, a priori alle grandi mostre, creare un palinsesto che le alterni con progetti meno altisonanti costruendo una relazione di reciprocità tra aspettativa e proposta.
- Più che alla soddisfazione delle persone bisogna pensare al loro coinvolgimento, lavorando sempre di più agli strumenti di divulgazione e anche alla loro potenzialità come riflessioni estetiche autonome, in questo senso si potrebbe chiedere la collaborazione degli artisti anche a questa parte del lavoro.
- Evitare che la proposta culturale manchi di responsabilità intellettuale, ricordandosi sempre che la selezione porta con sé l’onere di un impegno che si basa su un rapporto di fiducia, altrimenti si ricade nel pericolo del tradimento della comunità di riferimento.
- Il museo deve accettare la sfida di diventare migrante, un’eterotopia permeabile, senza pensare che un museo aperto sia per forza “ferito”. Va cambiato il modo di raccontare il museo, chiarendo meglio gli obiettivi non solo strategici, ma più propriamente narrativi, recuperando anche la possibilità di narrazione senza che rimanga una sola strategia di marketing.
- Istituire un osservatorio, che potrebbe dipendere dall’Università così da evitare conflitti di interesse, per analizzare e comparare le entrate dei musei italiani e avere uno strumento scientifico che possa rispondere a logiche indipendenti di ricerca.
- L’accoglienza dovrebbe essere sempre più plurale, uscire dal museo, recuperare la “piazza”, fino ad entrare nelle vite stesse delle persone, anche tramite corsi di avvicinamento all’arte, ribadendo un valore condiviso e condivisibile dell’arte e creando nuovi spazi di opportunità sia dentro che al di fuori dell’istituzione.
- Concentrarsi maggiormente sull’“audience development” fidelizzando il proprio pubblico ma soprattutto costruendo nuovi pubblici con un atteggiamento che con confonda “qualità” con “difficoltà”, nella convinzione che la qualità non dipenda solo dalla scelta dell’artista o del tema ma da come questi sono sviluppati.